Mario Meggiato riferisce con puntualità la conversazione tenuta da Michela Bernardi con gli allievi del corso di Filosofia il 17 marzo 2014.
Michela Bernardi ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università degli studi Ca’ Foscari di Venezia e fa parte dell’Associazione Alessandro Biral.

 

Una giovanissima Hannah Arendt

 

 

 

 

 

di Mario Meggiato

 

Libertà, obbedienza, responsabilità

 

Hannah Arendt ha cercato di dare un nome, di capire il male che ha segnato il secolo dei totalitarismi. L’originale analisi della filosofa tedesca non ci permette di interpretare le catastrofi accadute applicando l’usuale dualismo amico-nemico, vittima-carnefice, buono-cattivo.... né nei confronti dei popoli implicati (ebrei-non ebrei), né nei confronti delle istituzioni (democrazia-totalitarismi), né nei confronti delle nazioni (Germania da una parte, resto del mondo dall’altra). Una cosa appare certa ad Arendt: negli anni seguenti l’avvento di Hitler al potere, la sua nazione (e non solo essa) assiste ad un ‘crollo dei valori’, e ciò non significa che da quel momento nessun valore vale più, ma che altri valori, altri principi si impongono: se prima valeva il principio non uccidere, nella Germania del ‘33 vale il principio ‘tu devi uccidere’. Anche un assassino dunque può agire secondo coscienza, credendo e seguendo valori morali, il problema è capire di che valori si tratta; un uomo integro, insomma non è , per Arendt, colui che agisce seguendo la propria coscienza, ma è colui che sa distinguere il bene dal male, e che non abbandona mai tale capacità di riflessione, nemmeno quando intorno a lui si capovolgono tutti i riferimenti, tutti i significati.
Quali sono dunque i valori che caratterizzano il totalitarismo? Sono quelli che stabiliscono chi è umano e chi no, chi merita di vivere e chi deve soccombere. A partire da un’idea di uomo cioè, il nazismo vuole ricreare l’uomo: il totalitarismo ebbe l’obbiettivo di ricreare la realtà a partire da un’idea, ricreare l’uomo a partire da un’idea di uomo, e quindi di eliminare tutto ciò che a quell’idea non corrispondeva. L’idea di uomo, afferma Arendt, annulla lo specifico dell’umanità per dividerla in uomini-non uomini, questa idea di conseguenza non può sopportare l’unicità, l’imprevedibilità di ciascuno, e secondo la filosofa tedesca, tutta la filosofìa occidentale, a cominciare da Platone, avrebbe sempre pensato l’uomo a partire da un’idea di umanità, annullando quindi le differenze, le specificità, le unicità. Il totalitarismo non solo pensò, ma realizzò questo pensiero, attraverso i campi di concentramento e lo sterminio.
Assieme a Michela, leggendo alcuni passi dell’Etica Nicomachea abbiamo quindi cercato di trovare i passi in cui Aristotele parla di umanità, di un’idea di uomo da realizzare, ma abbiamo invece trovato la polis, espressione di uomini diversi, e che nella diversità realizzano l’armonia, come accade nel canto di un coro polifonico. Gli antichi dunque, a differenza di quanto scrive Arendt, sembrano collocarsi in un orizzonte diverso.
E’ invece in Hobbes che troviamo sicuramente una filosofia che spiega l’uomo in quanto tale, a partire dall’idea che tutti siamo uguali, tutti identici per necessità, cioè a partire da leggi naturali, necessarie, che ci caratterizzano.
La modernità (teorizzata da Hobbes) presuppone un comportamento umano basato sulla morale, meglio ancora: il giusto è stabilito dalla legge emanata dallo Stato; quindi non occorre più pensare cosa sia bene e cosa sia male, è sufficiente, per essere onesti cittadini, comportarsi conformemente alla legge, già pensata dall’esterno, ovvero osservando le leggi sociali, e quindi secondo criteri d’azione già fatti, a priori, dal potere politico. Infatti, qualora un uomo agisca in virtù del proprio pensiero individuale egli è necessariamente destinato ad entrare in conflitto con i propri simili. Per Annah Arendt il secolo delle catastrofi ha dimostrato nel modo più drammatico che “l’azione fondata sulla morale (quindi sull’obbligo, sul dovere cieco) è de-responsabilizzante. Hannah Arendt, assistendo ai processi svolti nei confronti dei responsabili nazisti, prova ad individuare le motivazioni che hanno determinato il loro comportamento. Eichmann, per esempio, ha certamente una coscienza ed agisce sulla base di valori morali. La sua mente, come la mente di tutti gli allineati, rifiuta di ammettere tutto ciò che può contraddire il sistema di riferimento; egli osserva con zelo il nuovo ordinamento. Egli è un uomo che segue la morale, non l’etica. Come è stata possibile la bancarotta dell’etica, si chiede la filosofa tedesca? La banalità del male, conclude, deriva dalla incapacità di pensare, e quindi di scegliere tra il bene e il male, abdicando, rinunciando al pensiero, affidandosi a colui o a coloro che hanno già pensato al posto nostro.